Quando ero piccola, durante una estate al mare passata con i miei genitori, conobbi una ragazza francese.
Stavo frequentando le scuole medie e il francese per me era la seconda lingua di studio.
Diventammo subito amiche, forse trascinate dalla giovane età e dalla curiosità di conoscere culture diverse.
All’epoca della mia adolescenza la multi-culturalità non era tanto diffusa, e Internet e tutti i sistemi di comunicazione che ne derivano erano ancora lontani (e attenzione, che qui rischio di rivelare la mia età ).
Dopo un paio di settimane trascorse insieme, cercando di capirci nelle nostre rispettive lingue, decidemmo di tenerci in contatto per lettera.
Ci scambiammo gli indirizzi e l’amicizia cartacea ebbe inizio. Francine divenne la mia Penfriend.
Aspettavo con ansia ogni sua lettera, ogni sua cartolina.
Nella mente di ragazzina non potevo immaginare che questa conoscenza sarebbe inevitabilmente terminata.
Troppa distanza per quell’età e per quei tempi.
Ma io ero felice, conservavo tutto ciò che riguardava il nostro carteggio. Mi sforzavo di scrivere in un corretto francese per meglio consolidare la relazione, e per meglio farmi conoscere.
La mia insegnante di lingue a scuola fu molto contenta di sapermi impegnata in questa attività che a suo avviso mi avrebbe molto aiutato negli studi.
Ma per me c’era di più.
Aveva la mia stessa età, ma era più grande ai miei occhi. Quei baci con qualche ragazzo già gustati, il viaggio nel Bel Paese affrontato da sola insieme ad una amica di poco più grande.
Per me era tutto affascinante.
E non volevo perdermi niente di questa esperienza.
Ci spedimmo molte lettere nell’anno successivo a quella fantastica estate.
Non mi ricordo come finì. Credo in maniera molto naturale, come avvengono le cose a quell’età.
Mi ricordo però un particolare:
una delle lettere che ricevetti non era da lei scritta a mano, ma con una macchina da scrivere. Chissà perché fece quella scelta, non glielo chiesi mai, forse in quei tempi si stava esercitando ad usare questo strumento, ma a me provocò una sorta di piccola delusione.
Mi piaceva leggere le sue lettere anche perché era solita scriverle con penne di colori diversicarte da lettere da lei decorate, e inchiostro profumato. Tutto questo mi faceva assaporare un lato del suo carattere che un elemento sterile
come il ciclostilato non poteva trasmettere.
Qualche giorno fa ho ripensato a questo periodo e ho capito quanto nella tecnologia di oggi si perda di questi aspetti. Quanto i giovani potrebbero capirsi di più e vivere relazioni meno sterili se solo non si abbandonassero del tutto le
care vecchie abitudini in nome della modernità.
Anch’io stessa è tantissimo tempo che non scrivo con una penna su carta una lettera ad una amica. Adesso si scrivono le mail, o addirittura si registrano messaggi Whatsapp. Tutto scorre veloce e i dettagli ce li perdiamo.
In seguito a queste riflessioni, ho pensato che sarebbe bello aiutare i nostri figli ad intraprendere una corrispondenza cartacea con un amico. Il mio adesso non sa ancora scrivere, ma potrà essergli utile l’esempio. Per ora lo farò io.
Riprenderò questa abitudine, mi aiuterà anche a capire come poterla trasmettere nel miglior modo possibile al bambino.
Ho tanti amici che vivono lontano. Inizierò a scrivere loro delle lettere, rigorosamente a mano. Con l’inchiostro nero, il mio preferito. Lo metterò in una busta, attaccherò il francobollo e spedirò via posta i miei pensieri per loro.
Chissà cosa ne verrà fuori.
Chissà se a mio figlio piacerà.
Ma l’idea mi stuzzica.
L’immagine è tratta da Pixabay

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